Il lungo viaggio nelle imprese olimpiche

26 Luglio 2024

Gli anniversari storici dei Giochi. Cent’anni fa l’oro di Frigerio, nel ’64 il trionfo di Pamich. E sono passati 40 anni dai tre titoli di Los Angeles (Cova, Dorio, Andrei) e 20 dalle gioie di Baldini e Brugnetti

di Fausto Narducci

Ci ritornano in mente. Sono i medagliati olimpici dell’atletica di cui a Parigi ricorreranno gli anniversari a cifra tonda: cento, sessanta, quaranta e vent’anni. Un viaggio nel tempo che può essere di buon auspicio per chi cercherà di imitarli nell’Olimpiade ormai alle porte.
 

CENTO ANNI (Parigi 1924: 4 maggio-27 luglio)

Ugo Frigerio oro 10 km marcia

Il milanese Ugo Frigerio, primo e doppio (1924 e 1932) portabandiera olimpico dell’atletica, dovette fare i conti con la tormentata storia della marcia che, fra proteste, squalifiche, casi di doping e polemiche di ogni tipo, vide le prove ridursi da due (3000 e 10.000) a una fra Anversa 1920 e Parigi 1924 e poi a essere del tutto esclusa ad Amsterdam 1928. In tutto questo, il pittoresco ex tipografo milanese della Gazzetta dello Sport ne fu l’interprete più spettacolare dell’epoca: due ori nel 1920 (3000 e 10.000) e tris nel 1924 (10.000). Sulla pista di 500 metri dello stadio Yves du Manoir di Colombes, che ai prossimi Giochi ospiterà l’hockey prato, Frigerio dominò la seconda semifinale dell’11 luglio e la finale del 13 luglio su un lotto complessivo di 25 concorrenti: il secondo classificato, l’inglese Gordon Goodwin, arrivò a 49”. Ritiratosi per le polemiche che accompagnavano la sua specialità fece in tempo, alla soglia dei 31 anni, a ripresentarsi a Los Angeles ’32 dove fu ancora portabandiera e nella prova inaugurale dei 50 km alle Olimpiadi strappò coi denti il bronzo.

Romeo Bertini argento maratona

Romeo Bertini, milanese di Gessate classe 1893, sulle strade di Parigi che torneranno a ospitare la maratona olimpica dopo 100 anni, conquistò l’argento, miglior risultato olimpico di un maratoneta azzurro fino al 1988 quando a Seul Gelindo Bordin vinse con lo stesso pettorale numero 579! Quattro anni prima ad Anversa sulla stessa distanza c’era stato il bronzo del piemontese Valerio Arri. Origini contadine, come tanti atleti dell’epoca, folgorazione in un cross nella vicina Gorgonzola, Bertini scoprì di poter correre più veloce del tram che doveva portarlo al lavoro, a 25 km da casa, come guardiano allo zoo di Porta Venezia a Milano. Nel 1913 debuttò in maratona scendendo sotto le 3 ore ma venne fermato dalla guerra e dovette aspettare gli Anni Venti per emergere come mezzofondista e conquistare il pass olimpico nella maratona col secondo posto ai Trials azzurri sui 37 km. Alla sua terza maratona a Parigi, a 31 anni, sotto il sole cocente sfruttò il ritiro del leggendario finlandese Kolehmainen, campione olimpico in carica, per rimontare a metà gara e poi conquistare in 2h47:20 (rimasto primato personale) il secondo posto dietro all’altro finlandese Albin Stenroos. Sull’onda dei festeggiamenti nella sua Gessate, che gli avrebbe poi intitolato nel 1978 il centro sportivo, avrebbe chiuso la stagione vincendo le maratone di Firenze e Torino. Ma l’età avanzava e a 35 anni fu costretto al ritiro nella sua seconda maratona olimpica ad Amsterdam 1928.

 

SESSANT’ANNI (Tokyo 1964: 10-24 ottobre)

Abdon Pamich oro 50 km marcia

Lo scorso 3 ottobre abbiamo celebrato i 90 anni dell’esule fiumano, italiano due volte (per origine e per scelta), azzurro per oltre un ventennio, oro e bronzo olimpico in cinque partecipazioni ai Giochi, due volte campione europeo e primatista mondiale in pista. Ma centrale nella sua storia è proprio quella sorta di corsa a ostacoli nelle 5 partecipazioni olimpiche della 50 km (e a Melbourne anche la 20). Sempre qualcosa che non andava, una barriera da superare. Nel 1956 frenato da una preparazione folle: 11° nella 20 e 4° nella 50 km. Poi nel 1960, correndo da favorito nella sua Roma, terzo per un errore tattico. Messosi in proprio dal punto di vista della preparazione, Pamich raggiunse a Tokyo l’oro che valeva tutta una carriera. Ma anche qui la sorte cercò di mettergli lo sgambetto. Un rifornimento sbagliato con il the freddo che provocò una crisi intestinale e al trentesimo chilometro ecco l’esigenza fisiologica entrata nell’aneddotica dello sport: un gruppo di soldati giapponesi che lo copriva (ma qualcuno dice che si trattò semplicemente di una siepe) e Pamich che riemerse fra gli applausi del pubblico che aveva capito tutto. Riprese in due chilometri l’inglese Paul Nihill e tagliò il traguardo da vincitore con 19” di vantaggio e il record olimpico di 4h11:13. Poi, dopo il ritiro di Messico ‘68, la carriera olimpica si sarebbe conclusa con la prima squalifica ad alto livello a Monaco ‘72 dove ebbe la soddisfazione di fare il portabandiera.

Salvatore Morale bronzo 400 ostacoli

Di Salvatore Morale abbiamo imparato a conoscere l’eleganza, la cultura e lo spessore come allenatore e dirigente. Ma non dobbiamo dimenticare l’impresa che nei 400 ostacoli compì a Tokyo ‘64 quando, lui che era stato campione europeo nel ‘62 a Belgrado eguagliando in 49.2 il record mondiale dell’americano Glenn Davis, si presentò in non perfette condizioni fisiche e distratto dagli studi universitari che l’anno dopo l’avrebbero portato alla laurea in Economia e Commercio. Il ricordo della precedente eliminazione in semifinale a Roma ‘60 fu importante anche per gestire la sfida in famiglia con Roberto Frinolli, suo futuro cognato (sposarono le due sorelle nuotatrici Anna e Daniela Beneck) quando entrambi si presentarono alla finale del 16 ottobre con Frinolli in vantaggio (50.2 contro 50.4 in semifinale). Col futuro primatista mondiale Rex Cawley praticamente imbattibile sotto il muro dei 50” (49.6), Morale fu bravo ad acciuffare il bronzo sia pure con la beffa di aver realizzato lo stesso tempo dell’argento britannico John Cooper (50.1). Sesto Frinolli (50.7) che poi gli sarebbe succeduto come campione europeo a Budapest ‘66. Dopo l’eliminazione in batteria della 4x400 (sempre insieme a Frinolli) Morale decise di ritirarsi per dedicarsi alla carriera di allenatore e dirigente.


QUARANT’ANNI (Los Angeles 1984:  28 luglio-12 agosto)

Alberto Cova oro 10.000

Il ragioniere brianzolo era campione europeo (1982) e mondiale (1983) in carica quando a Los Angeles conquistò l’oro dei 10.000 realizzando un tris che sarebbe riuscito quasi 30 anni dopo solo a Mo Farah. Un’impresa maturata nel lungo raduno a Otaniemi in Finlandia e nella scelta dell’allenatore Rondelli di tenere il suo gruppo isolato in una villetta a Santa Monica anziché andare al Villaggio. Un oro scolpito nella memoria in quel 10.000 che aveva visto l’eliminazione di Panetta in batteria e le sofferenze di Salvatore Antibo che commise l’ingenuità di gareggiare con le scarpe nuove e partecipò alla finale (quarto) con i piedi piagati. Saltato subito il primatista mondiale Mamede, il ragioniere brianzolo resistette ai ripetuti allunghi di Martti Vainio, capace di correre un 3000 da 8 minuti nella seconda parte di gara e lo superò negli ultimi 120 metri. Era l’apoteosi per l’atleta della Pro Patria che si ritirò dopo la delusione di Seul ‘88.

Gabriella Dorio oro 1500

Una storia infinita quella della mezzofondista veneta, pluriprimatista di 800 e 1500, che alla terza partecipazione olimpica raggiunse l’oro che valeva tutta la carriera. Decisiva la scelta di concentrarsi sulla distanza lunga con il bronzo europeo ad Atene ‘82, senza rinunciare ai suoi 800 dove il 6 agosto a Los Angeles sfiorò il podio a 22 centesimi dal bronzo della romena Levin. Le sue rivali nella finale dei 1500 dell’11 agosto erano le altre romene Doina Melinte e Maricica Puica, rispettivamente vincitrici degli 800 e dei 3000 ma Gabriella fu abilissima a spezzare l’egemonia di quella parte dell’ex blocco sovietico presente quando, superata in curva dalla Melinte, la scavalcò a sua volta con una reazione che la portò a vincere la volata in 4:03.25. Ma nonostante la maternità mamma Dorio non si sarebbe fermata lì sfiorando la partecipazione (ostacolata dagli infortuni) alle successive due Olimpiadi.

Alessandro Andrei oro peso

Il suo primato italiano (che fu anche mondiale) di 22,91 ottenuto a Viareggio nell’87 è stato battuto solo quest’anno dall’altro fiorentino Leonardo Fabbri (22,95) ma l’oro di Los Angeles resta nella storia. Poco conta che il boicottaggio impedì la partecipazione dei tedeschi est Udo Beyer, olimpionico a Montreal ’76 e Ulf Timmermann, successivamente olimpionico a Seul ’88, perché gli americani Dave Laut e Mike Carter gli resero comunque la vita dura. Il gigante toscano prese la testa al terzo lancio con 21,26 lasciandoseli alle spalle come pure il concittadino Montelatici sesto con 19,98. Alle successive Olimpiadi Andrei sarebbe stato settimo (‘88) e decimo (92) in una carriera che gli ha dato anche l’argento iridato di Roma ‘87 dietro allo svizzero Guenthoer.

Sara Simeoni argento alto

Un bronzo che vale oro quello della veronese che dopo l’argento di Montreal ‘76 e l’oro di Mosca ‘80, a 31 anni stava vivendo un momento difficile. Una partecipazione messa in dubbio dagli infortuni a Los Angeles ’84 dove a ogni salto Sara rischiava di rompersi i tendini e invece tornò ad assaporare i 2 metri a sei anni dai record mondiali. Solo l’incredibile ritorno dell’ex enfant prodige Ulrike Meyfarth, capace di superare i 2,02, le sbarrò la strada per l’oro ma possiamo paragonare questa impresa, strappata agli infortuni, all’oro di Mosca e ai due record mondiali. 

Maurizio Damilano bronzo 20 km marcia

Tre Olimpiadi senza scendere dal podio, due titoli mondiali e tanto altro: nella carriera di Maurizio Damilano il bronzo di Los Angeles più che l’apice della carriera fu la conferma di una continuità senza paragoni nella marcia. Il campione olimpico di Mosca ‘80, reduce dalla delusione dei Mondiali di Helsinki, il 3 agosto 1984 dovette alzare bandiera bianca di fronte allo strapotere dei messicani che si aggiudicarono entrambe le prove con Ernesto Canto e Raul Gonzalez. Nella 20 km, priva di squalifiche a conferma della regolarità della gara, il piemontese provò comunque a giocarsi le sue carte con una accelerazione veemente che fra il 10° e il 15° km gli diede 40 metri di vantaggio. Ma neanche un tempo migliore del record olimpico di Mosca (1h23:26 a Los Angeles) gli bastò per resistere a Canto e Gonzalez che gli arrivarono davanti per una manciata di secondi. La sua unica partecipazione olimpica sui 50 km, otto giorni dopo, si sarebbe chiusa con un ritiro, ma nella sua specialità preferita ai Giochi ci sarebbe stato ancora tempo per il bronzo di Seul ‘88 e il quarto posto di Barcellona ‘92. 

Sandro Bellucci bronzo 20 km

Per il finanziere romano discorso opposto a quello di Damilano. Nella sua lunga carriera, costellata da 39 presenze in Nazionale, proprio la 50 km di Los Angeles rappresenta il momento più bello, addirittura l’unico podio internazionale di rilievo, salutato con il braccio alzato nonostante la fatica immane. Alle spalle dell’irraggiungibile Gonzalez a soffiargli l’argento per 26” fu lo svedese Bo Gustafsson, diventato poi compagno dell’azzurra Ileana Salvador. Al quinto posto l’azzurro Raffaello Ducceschi. La seconda partecipazione olimpica a Seul ‘88 per Bellucci si concluse invece col 32° posto. 

Giovanni Evangelisti bronzo lungo

Proprio il 1984, con 9 prestazioni oltre gli 8 metri, può considerarsi la stagione del decollo di Giovanni Evangelisti che, dopo aver ritoccato più volte il record italiano a partire dal 1982, si presentò a Los Angeles a 23 anni in forma spettacolare con un personale di 8,16 ottenuto in giugno a Milano. Nella sua Los Angeles, niente poteva fermare la corsa ai quattro ori di Carl Lewis che nel lungo atterrò a un inarrivabile 8,54. Ma il padovano seppe giocarsi al meglio le sue carte: 7,94 in qualificazione il 5 agosto e 8,09 il 6 agosto al primo salto di finale che non si rivelò sufficiente per il podio, occupato dall’australiano Honey e dall’eterno rivale Larry Myricks fino all’ultimo salto. Fu qui che Evangelisti compì il mezzo miracolo atterrando all’8,24 del nuovo primato italiano che Gary Honey pareggiò ma con una migliore seconda misura. Un bronzo che poteva essere argento ma che gli spianò la strada per una carriera che vide altre due partecipazioni olimpiche: quarto a Seul ‘88 ed eliminato in qualificazione a Barcellona ‘92.

VENT’ANNI (Atene 2004: 13-29 agosto)

Stefano Baldini oro maratona

Uno degli anniversari più importanti dell’atletica italiana. Era il 29 agosto 2004 quando Stefano Baldini entrò per primo nello stadio Panathinaiko, tempio della corsa, diventando il “dio della maratona”. Il traguardo più prestigioso, a 16 anni dall’oro del compagno di scuderia Gelindo Bordin, nello scenario più classico e con una gara mozzafiato, palpitante come un thriller, in cui perfino il favorito d’obbligo Paul Tergat si perse per strada. Non dimenticheremo mai quell’arrivo e neanche il fattaccio del 36° km quando il battistrada brasiliano Vanderlei De Lima, ormai destinato a essere raggiunto dall’azzurro, fu spintonato dal fanatico religioso irlandese Cornelius Horan. Nessun dubbio che Baldini, autore del record del percorso storico da Maratona ad Atene (2h10:55), avrebbe vinto lo stesso anche se il brasiliano, accontentatosi del bronzo, lo avrebbe riconosciuto solo prima dell’Olimpiade di casa a Rio nel 2016. Al secondo posto, a 34”, lo statunitense Mebrahtom Keflezighi poi vincitore della maratona di New York. Nella carriera di uno dei più grandi interpreti mondiali della maratona quello di Atene sarebbe rimasto l’unico podio in quattro partecipazioni olimpiche.

Ivano Brugnetti oro 20 km marcia

Prima di Baldini lo stadio olimpico di Atene aveva accolto un altro oro della fatica, lo aveva conquistato il 20 agosto Ivano Brugnetti. Una gara a eliminazione in cui prima il favorito ecuadoriano Jefferson Perez (4°), poi l’australiano Nathan Deakes (3°) e infine il più coriaceo di tutti, lo spagnolo Paquillo Fernandez, proprio all’entrata dello stadio si dovettero arrendere alla progressione dell’azzurro capace in 1h19:40 di stabilire anche il record personale. C’erano voluti due anni per assegnargli l’oro dei Mondiali ‘99 di Siviglia dopo la squalifica per doping del vincitore russo German Skurygin, invece stavolta  il marciatore di Sesto San Giovanni potè festeggiare l’oro sul traguardo in una carriera che l’avrebbe visto ancora quinto a Pechino 2008.

Giuseppe Gibilisco bronzo asta

L’incredibile oro mondiale, a suon di record italiano a 5,90, dell’anno prima a Parigi era ancora appeso idealmente all’asta quando Giuseppe Gibilisco, vulcanico siracusano che ha saputo distinguersi anche fuori dalla pedana, confermò la sua presenza nell’elite internazionale con il bronzo di Atene. Neanche l’infortunio che aveva messo a rischio la stagione riuscì a fermare l’azzurro costretto a centellinare i salti: 5,55 al secondo tentativo, 5,75 e 5,85 alla prima. Davanti a lui gli statunitensi non imbattibili Timothy Mack (5,95) e Toby Stevenson (5,90) che, dopo il record stagionale, il siracusano cercò di scavalcare con un tentativo a 5,85 e due a 5,95. Ma il bronzo che lo confermava ai vertici dell’asta a cavallo fra i regni di Sergey Bubka, Renaud Lavillenie e Mondo Duplantis resta una delle perle di una carriera che gli aveva già dato il 10° posto a Sydney 2000 e si sarebbe protratta per altri 10 anni con i tre nulli di entrata nella finale di Pechino 2008. 

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